Psicoterapia Psicoanalitica e Modello Relazionale

 

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA E MODELLO RELAZIONALE

 

 

Mi sembra che i catalizzatori di questa rivoluzione paradigmatica siano il concetto di campo e, insieme, le rivoluzioni che tra gli anni 60 e 70 hanno cambiato i modelli relazionali esistenti, mettendo in discussione quella terapeutica tra le altre “autorità”, stimolando una riflessione sul rischio di cristallizzazione che una impostazione terapeutica “chirurgica” induceva.

Ci sono più filoni di indagine che, da punti di osservazione diversi, convergono in aspetti della pratica clinica   che comprendono: un ascolto diretto della relazione con il paziente nella situazione analitica, e non solo delle sue relazioni passate, e di conseguenza da un lato la considerazione dell’esistenza di più livelli riguardo alla comunicazione del paziente, dall’altro la rivitalizzazione di aspetti più emotivi del terapeuta.

 

Il controtransfert viene considerato da tutti un elemento organizzatore dell’esperienza e di senso nella situazione analitica ma, mentre il movimento “americano” parte da una critica accesa alla teoria freudiana, in particolare delle pulsioni, cito ad esempio Fromm[1]:

…in linea di massima Freud concepisce la situazione analitica in termini di una procedura medico terapeutica, così come si era sviluppata a partire dall’ipnosi. Ciò che egli afferma nei confronti del paziente va raramente al di là di questo aspetto tecnico e raramente tocca l’originale dimensione umana della situazione.

dall’altra parte dell’oceano, il mutamento avvenuto, e probabilmente che sta avvenendo ancora, dall’interno del paradigma psicoanalitico classico, è nato non nel dissenso ma attraverso il tentativo di integrazione di nuovi concetti.

 

 

Ho rappresentato graficamente una ipotetica collocazione temporale-spaziale e concettuale degli autori citati:

Primo fra tutti cito Ferenczi, punto di snodo tra le due correnti, analista di  Clara Thompson[2], a sua volta allieva di Sullivan e collaboratrice di Fromm.

Ferenczi nella “Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino”[3] afferma di aver affrontato e risolto un problema di natura tecnica nella rinuncia a quella che definisce  “ipocrisia professionale”, che porta a minimizzare le difficoltà di accoglimento del paziente, mostrando un ingiustificato senso di superiorità.

Unico tra gli autori considerati che introduce la necessità di utilizzare la persona del terapeuta all’interno del contesto psicoanalitico di cura, quando ancora Freud era vivo, Ferenczi ne subisce l’opposizione diretta e, dopo la sua morte, fu screditato apertamente dallo stesso Freud. Nell’elogio funebre scritto in suo onore viene descritto come “un uomo in cui l’esigenza di guarire e soccorrere era diventata predominante”. In una lettera a Jones[4], Freud liquida così le riflessioni di Ferenczi:

nel suo caso il declino intellettivo e affettivo sembra avere una base di declino fisico.

 

Ho considerato i contributi più recenti dei due filoni di studio identificati, Psicoanalisi e Modello Relazionale, per rintracciarne gli esiti nella tecnica psicoanalitica. Il primo La svolta relazionale, pubblicato nel 2011 (Lingiardi, Amadei, Caviglia, De Bei), il secondo Le viscere della mente, pubblicato nel 2014 da Antonino Ferro.

 

In La svolta relazionale Safran (IARP – International Association for Relational Psychoanalysis) individua nel contributo di Greenberg e Mitchell  in Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica (1983) le basi della psicoanalisi relazionale, poiché legittima la tradizione della psicoanalisi interpersonale americana all’interno della psicoanalisi classica.  Sviluppi che gli autori distinguono in tre periodi per il significato attribuito al termine “relazionale”: 1. fine anni 80/90 relazionale come legame tra relazioni interpersonali e relazioni oggettuali interne; 2. 1990/2000, con il contributo di Mitchell (1989) ne Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi, il termine relazione indica il contributo di analisti americani influenzati dai modelli delle relazioni oggettuali, dalla teoria interpersonale e dai movimenti culturali, anch’esso definito dagli autori “movimento relazionale”. Mitchell:

E’ importante che questa cornice concettuale vitalizzante non venga né ridotta a un modello monolitico di formule tecniche, né diluita all’interno di un vuoto ambientalismo;

Nell’ultimo decennio il modello relazionale si interroga sulle differenze col modello classico.

Vengono approfonditi gli aspetti interpersonali della psicoanalisi già presenti o impliciti nel pensiero di Freud, a partire dai punti di contatto tra la teoria di Harry Stack Sullivan, la psicologia dell’Io e delle relazioni oggettuali.

Mitchell (2000)[5] definisce il modello relazionale una cornice concettuale operativa relazionale,  comprendente principalmente le teorie di Loewald, Sullivan e Fairbairn.

Il coinvolgimento intersoggettivo di analista e paziente è visto come veicolo del cambiamento. La teoria della tecnica post-classica aggiunge alla riservatezza un “tono emancipatorio di espressività”.

L’amore e l’odio del paziente, sebbene si basino su relazioni passate e passioni infantili, sono anche reazioni reali agli scambi interpersonali reali con l’analista, la “risonanza interpersonale”  produce nel paziente un’esperienza di “riconfigurazione”. Centrale, quindi, è la questione dell’autenticità dell’analista.

 

Nell’altro filone, quello europeo, dopo Ferenczi appunto, la Klein pone le basi per il rinnovamento enfatizzando la relazione primaria madre-bambino nello sviluppo e le dinamiche transferali e controtransferali, mentre la Heimann, sua stretta collaboratrice, postula nel 1950[6] che sia l’inconscio dell’analista a comprendere quello del paziente, inoltre usa il termine «controtransfert» per includere tutti i sentimenti che l’analista sperimenta verso il paziente, controtransfert non corrisponde solo al transfert da parte dell’analista:

 

Ma io penso che il prefisso «contro» implica l’esistenza anche di altri fattori. È utile qui ricordare che i sentimenti di transfert non possono essere chiaramente distinti da quelli che si riferiscono a un’altra persona come tale e non come sostituto del genitore.

 

..e parlando della situazione analitica:

 

mi sembra non sia stato sufficientemente sottolineato che si tratta di una relazione fra due persone. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la presenza di sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro, l’analista, ma soprattutto l’intensità dei sentimenti provati e l’uso che se ne fa, giacché questi fattori sono interdipendenti

 

Raker[7] esplora in maniera approfondita già nel 1948 le nevrosi di controtransfert (che sono ancora legate all’Edipo) e nel 1953 Il significato e l’impiego del controtransfert,

dalla cui ricerca consegue la modificazione del modo di valutare il ruolo rispettivo dell’analista e del paziente, i quali adesso definitivamente e per consenso generale appaiono considerati co-attori primari, paritetici…[8]

Raker parla di simbiosi psicologica descrivendo la correlazione tra due inconsci, esorta a interpretare di più

e ad effettuare l’analisi della relazione del paziente con le interpretazioni. Inoltre distingue tra identificazione complementare (il paziente tratta l’analista come un oggetto interno e di conseguenza l’analista si identifica con questo oggetto) e identificazione concordante (contenuti che si verificano nell’analista a motivo dell’empatia realizzata con il paziente)[9], con i quali è possibile trarre conclusioni sul carattere specifico  degli avvenimenti psicologici che avvengono all’interno del paziente, considerandoli parte del “controtransfert totale”.

 

Negli anni seguenti troviamo il contributo di Bion che dà alla identificazione proiettiva un significato relazionale di comunicazione.

 

Inoltre, l’ampliamento degli studi sul campo (iniziati con Lewin nel 1935) dei Baranger (1961) influenzano la psicoanalisi classica, contribuendo a quella che a me è sembrata una rivoluzione copernicana nell’osservazione della situazione analitica.

 

Di lì a poco anche il movimento di pensiero critico nei confronti della psichiatria[10] contribuirà a svelare il camice psichico del terapeuta e a porre attenzione alla verità della relazione e all’ascolto rispettoso della persona.

 

Luciana Nissim Momigliano, con Due persone che parlano in una stanza[11] diventa un trade union tra le due correnti.

[…] ascolto il paziente, ascolto me stessa, i sentimenti che provo, le fantasie, le impressioni fugaci. Sapendo che questi contenuti sono in rapporto al paziente cerco di elaborarli e restituirli al paziente interpretandoli.

 

Ne L’ascolto rispettoso cita Bion dei Seminari di New York:

 

L’essere umano è un animale che dipende da un partner […] L’unità biologica è la coppia

 

accorciando ancor più le distanze.

Il contributo di Bion alla relazionalità è ampio, a partire dal concetto di reverie e di contenitore/contenuto, ma in questa affermazione “l’unità biologica è la coppia” mi sembra vicino alle posizioni “forti” del modello relazionale.

 

La ricaduta nella tecnica di tali sviluppi risiede nella possibilità di interpretare, mettendo in parole le emozioni che l’esperienza della relazione genera.

 

Ne Le viscere della mente Ferro raccoglie molte di queste indicazioni e, da Presidente della SPI, sancisce un cambiamento della tecnica: inizialmente, parlando di libere associazioni, definisce la regola fondamentale una modalità prescrittiva e superegoica, basata sul funzionamento mentale del paziente, considerando invece il funzionamento mentale cogenerato anche dal modo di porsi dell’analista; i personaggi della seduta sono visti come il frutto di operazioni mentali compiute da analista e paziente, ologrammi del funzionamento mentale della coppia analitica… da questo vertice, qualsiasi cosa dica il paziente descrive un funzionamento del campo; l’interpretazione assertiva attiva la negazione il cui antidoto risiede nel generare narrazioni condivise; l’esperienza condivisa è quella di lasciar circolare stati emotivi, affetti pensieri, personaggi, con l’analista, e promuovere una attività di tipo onirico nella coppia analitica.

 

Sognare il sogno del paziente, o sognare insieme al paziente, attraverso una modalità insatura di intervenire, mi sembra l’indicazione di utilizzo del controtransfert da parte di Ferro.

 

Insieme  alle interpretazioni insature, all’uso dei personaggi che emergono in seduta come descritto, cita la self-disclosure e gli enactment come idee psicoanalitiche e come tecniche da lui stesso utilizzate.

La distanza con “le novità tecniche e teoriche” citate ne La svolta relazionale (controtransfert, enactment, self-disclosure, campo bipersonale, co-creazione della relazione) è adesso veramente ridotta al minimo.

 

 

In conclusione, vedo la spinta al legame e alla relazione significativa con altri esseri umani come un bisogno basilare, inestricabilmente sociale, psicologico e biologico (quindi anche pulsionale?).

 

Lo spostamento di vertice, dall’oggetto al legame con l’oggetto, amplifica la portata delle relazioni familiari agli aspetti trigenerazionali e oltre, come ha evidenziato Kaes.

 

L’aver preso il legame come vertice psicoanalitico rende possibile una estensione dell’osservazione nel tempo, nello spazio e nel mondo della gruppalità interiore. Di primaria importanza sono non le parti ma le funzioni tra di esse.

La funzione alfa di trasformazione di emozioni in narrazioni esprime proprio la funzione di legami tra oggetti (parole, scene).

[1] Il condizionamento sociale della terapia psicoanalitica. 1935

[2] Clara M. Thompson “Raccolta di scritti” a cura di Maurice Green  1964

[3] Relazione letta nel 1932

[4] Lettera n.596 del 1932. In Epistolari. Corrispondenza con Ernest Jones. Vol2

[5] Mitchell “Il modello relazionale” 2000

[6] Paula Heimann “Sul Controtransfert”. 1950

[7] Racker “Studi sulla tecnica psicoanalitica” 1968. L’articolo su “Il significato e l’impiego del controtransfert” fu letto all’Associazione Psiconaalitica Argentina nel 1953.

[8] Corrao Prefazione a Studi sulla tecnica psicoanalitica

[9] Racker Studi sulla tecnica psicoanalitica pag.181

[10] Cito un autore fra tutti: R. Laing nel 1960 (L’Io diviso): “il nostro rapporto con gli altri è un aspetto essenziale  del nostro essere, tanto quanto lo è la nostra separazione”

[11] in Rivista di Psicoanalisi, 1984